Ghe xe ancora storie
La Federica questa volta mi obbliga ad un’altra traduzione di un suo thread proprio perché mi cita un’opera dei Bassano. La prima storia è qui, qui la seconda e questa è la terza.
Vi racconto una storia. Se dovessi darci un titolo sarebbe un altro capitolo di ‘veneti che fottono veneti’. Questa volta siamo in provincia di Vicenza. Per capirla meglio cercate su Google il quadro di Jacopo [e Francesco ndt.] dal Ponte Cristo in casa di Marta, Maria, Lazzaro del 1577. Bello vero? [lo si trova a Palazzo Pitti ndt]
Guardate cosa c’è sulla tavola… una sopressa. Una delizia vicentina. Una delizia veneta.
Perché negli anni i famigli di campagna potevano non avere pane sulla tavola, ma il maiale non poteva mancare. E il 25 novembre non c’erano scuse, impedimenti, neve o brutto tempo che si portava fuori il norcino e si ammazzava il maiale.
E siccome che da veneti si trasforma la vita quotidiana in impresa, si inizia ad aprire salumifici. Soprattutto per dare continuità alle tradizioni e guadagnare con queste due schei.
Fene anni ‘90. Derby TREVISO - VICENZA. Tutti porchi che hanno a che fare con i porcelli. Da una parte i trevigiani che spingono per avere la IGP sulla sopressa trevigiana e figuriamoci se quelli di Vicenza vogliono essere da meno.
Bello. A me piacciono tutte le iniziative per fare rete d’impresa, collaborare tra imprenditori. Si mettono assieme 10 salumifici della zona di Vicenza con la missione di richiedere la DOP per quella vicentina. Ah no, mica siamo da meno di quelli della Marca
Si mettono assieme i vicentini e provano a redigere un disciplinare: i maiali devono nascere e crescere in provincia di Vicenza. Macellazione e lavorazione idem. Tutte nelle terre di Andrea Palladio.
E qua iniziano i problemi che rispecchiano uno dei limiti degli imprenditori veneti: la fame di schei che sacrifica la moralità. Ma andiamo avanti. Si ottiene la certificazione DOP secondo regolamento CE 510/2006.
Si crea il logo e si parte alla conquista del mercato e del mondo con la Soprèssa di Vicenza. Si decide che le quote da versare per far parte del consorzio corrispondano alle quote di produzione. Pare giusto. [ripartizione praticata da sempre nelle cooperative delle Regole Montane ndt.]
Ma iniziano i primi problemi dei 2-3 macelli autorizzati uno è di proprietà del capofila del consorzio… e il capofila (più grande di tutti) monopolizza il mercato praticando prezzi improbabili… mica si può fare cartello con i prezzi, eh….
E allora nella GDO domina solo il capofila nelle forniture della Soprèssa DOP. Che produce anche sopressa usando maiali non della provincia vicentina. Eh no, perdincibacco, non si può mica..
Bella fregatura per tutti gli altri, più piccoli e rigorosi del rispetto del disciplinare. Da 10 produttori restano già in 4-5. E giù bestemmie. Tante bestemmie [in Veneto la bestemmia viene detta anche “porco” in luogo dell’abbreviazione dell’imprecazione, da qui il verbo “porconare” ndt.]. Porki veneti.
Ma fare i furbi non paga mai. MAI. E sempre la qualità paga. Per cui succede che altri produttori del consorzio, che fanno la Soprèssa veramente DOP, prendono quote di mercato anche a prezzi più alti nella stessa GDO fornita dal capofila. Apriti Cielo!
I capofila che pensano di comandare per sono più grandi… che non fanno mica prodotti fatti secondo disciplinare e che, pur di cambiarsi auto una volta all’anno, si dimenticano di pagare le quote per far andare avanti il consorzio.
E se non paga il grande produttore figuriamoci se paga il piccolo. Ma proprio per nulla! E lo trovo giusto. E inizia la parte di venete che fottono i veneti. Che i grandi sfruttano i piccoli, che diventano schiavi e fornitori dei grandi.
Il consorzio è senza fondi. Non si riesce nella missione di far mangiare a tutti la Soprèssa Vicentina DOP.
Il capofila riesce a fare bancarotta fraudolenta nel 2013 (patteggiando padre e figlio un po’ di anni) e qualche anno di concordato. Non pagando i fornitori più piccoli e nemmeno le quote del consorzio. Che va a rotoli. Far i furbi non paga mai.
Peccato che c’erano quelli che nella DOP ci credevano. Che facevano le cose fatte per bene. Che avevano capito che il logo era un simbolo di identità, di rispetto della tradzione, di grande amore per il maiale tipico dei veneti.
Quel logo era una passione e sapienza artigiana, la passione e la dedizione della scelta delle materie prime e andare a parlare con le soprèsse finché si stagionano. Dietro quel logo c’è il rispetto.
E adesso quelli bravi non riescono a riprendere in mano il logo e ricostruire il consorzio perché il Ministero non gli da atti e risposte. E tu (io in questo caso) chiami in Regione per capire se qualcuno può aiutarci ma sono tutti in smartworking e nessuno sa niente.
Ma nemmeno a chi è in campagna elettorale interessa qualcosa di questi prodotti, nemmeno questa parte di Veneto interessa a qualcuno.
Veneti che fottono veneti. E veneti che bestemmiano. Veneti piccoli fottuti da quelli grandi. E la Regione assente. I piccoli non danno schei alla politica. E forse nemmeno vanno a votare perché devono lavorare.