Stato di applicativi
Leggo recriminazioni di insegnanti al predominio di Google scoperto in questi giorni di classi online. Vorrei chiedere ai vari docenti: non vi mette ansia il predominio di Spaggiari nel registro elettronico, di Engineering e Replay negli applicativi e nelle infrastrutture telematiche (sì, vengono chiamate ancora così), o Sebina nelle biblioteche?
Ancora: sapete che i termini di servizio di molti di questi applicativi sono vaghi, e demandando spesso al dirigente scolastico la responsabilità su privacy e a GDPR, senza avere nessuna data policy?
È bene sapere che tutto il comparto digitale della PA è un ammasso di servizi e software affidati a soggetti privati o para-pubblici (che non è pregiudizialmente un male, anzi) attraverso bandi senza criteri uniformi su termini di servizio, schemi di interoperabilità e soprattutto data policy. “Lo deve fare lo Stato” non vuol dire nulla. Demandare allo Stato la creazione di “cose come Google” è una richiesta astratta e inefficace, mentre proprio dagli insegnanti devono arrivare richieste precise su requisiti essenziali concordati con gli studenti.
La proposta agli insegnanti è di usare questi giorni per individuare con gli studenti:
- quello che manca per condividere i documenti e i dati,
- come deve essere un sistema di videocall,
- che cosa vi serve per avere delle metriche su tempi di apprendimento e di attività,
- cosa vorreste da un document manager.
Per avere dei riferimenti si prendono le componenti di prodotti e servizi che piacciono su Google, Microsoft o chi si vuole, e indicare che ogni elemento caricato sia sempre scaricabile e controllabile dall’autore e dal MIUR. Queste funzionalità dovranno finire nei requisiti minimi dei bandi di affidamento, ribadendo che ogni elemento sviluppato per la PA, come accade per qualsiasi progetto, venga concesso e rilasciato alla PA con licenze aperte.
Queste sono le richieste, per avere degli applicativi pubblici fatti assieme a privati, senza rischiare il monopolio.